Ho iniziato a fotografare che ero poco più di una bambina.

Avevo 10 anni, mi regalarono una piccola Agfa e cominciai a raccontare la mia vita. Le mie sorelle si prestavano, inventavo fondali con coperte scozzesi di lana, e soffiavo sull’obiettivo per creare un filtro flou. Era tanto tempo fa.

Oggi quando guardo quelle immagini mi riconosco totalmente e mi emoziono perché non c’era nessuno che mi spiegasse di fotografia, a casa mia non si parlava di racconto, non si parlava di fotografia, la televisione trasmetteva programmi che nulla avevano a che fare.

Eppure l’avevo dentro. Poi negli anni ho avuto la fortuna di incontrare un un creativo che mi propose di lavorare nella loro agenzia. Io non avevo nessuna preparazione, ma tante idee, che lui aveva saputo intuire. Iniziai facendo la art buyer, procuravo gli oggetti per le ambientazioni.

Poi il fotografo dell’agenzia, stanco del proprio lavoro, iniziò insegnarmi fotografia in studio, ad usare il flash, a capire come la luce si poteva riflettere sulle varie superfici, a interpretare la composizione.

Poi è arrivata la scuola, la specializzazione a Milano. Le lacrime riflesse sui vetri della metropolitana, quando essere fotografo significava essere un povero sfigato. Nessuno capiva. I miei familiari, i miei figli, la città da dove provenivo. Ma c’era un fuoco lontano, che mi spingeva ad andare avanti, sola, ed era lì che mi stavo dirigendo.

Poi lentamente, il bisogno di pagarmi la vita, perché era solo quello che sapevo fare, che sapevo fare meglio di tutto.

E’ stato un percorso che adesso, guardando all’indietro, dico era tutto disegnato, perché non sapevo dove stavo andando, capivo solo che quella era la strada. Ho iniziato a lavorare prima in agenzia, poi sola nel mio studio. Senza soldi, ma la direzione era quella, ed era l’unica che era nel mio cuore, che mi portava avanti. Ostinata e contraria.

Nel frattempo studi su di me, tanti anni di analisi, libri, cinema, arte, e poi il coaching. Ho capito con il coaching quale era il mio talento, quale fosse il mio valore. L’empatia, la visione, l’entrare nel cuore e nelle aspirazioni dell’altro.

Ho compreso col mio lavoro quanto la fotografia potesse essere utile alle persone, perché la maggior parte non si piace. Quanto potesse essere utile a capire meglio sè stessi.

Questo il mio percorso oggi.

E quindi ritratti per sé squisitamente per sé, ritratti di business, racconti, reportage, lavori paralleli che tengo per me sul potenziale umano, anche sul potenziale umano che va spegnendosi come l’Alzheimer.

Io credo che la fotografia possa veramente curare, possa realmente essere lo specchio di quello che siamo. E’ una scoperta giornaliera, che mi emoziona, che mi appassiona.

Eccomi questa sono io.

Add a Comment